mercoledì 17 aprile 2013

Paramore--Paramore, recensione. "Some of us have to grow up sometimes, and so, if I have to, I'm gonna leave you behind"

Paramore--Paramore
voto *** e 1/2


Ho voluto inserire nel titolo questo verse del brano Grow Up, perché emblematico della nuova produzione della band pop-punk americana Paramore.
Dal 2009, anno di pubblicazione del loro ultimo album - l'acclamatissimo dai fan e premiatissimo in quanto a vendite, Brand New Eyes - non si erano più fatti sentire con nulla di nuovo. Solo qualche live sporadico, qualche versione acustica di vecchi brani e singoli inediti qua e là per quietare le masse scalpitanti di teenagers affranti. Separatisi e poi riformatisi, sopravvissuti al ciclone del successo, cresciuti ma non troppo e con una formazione di nuovo ben salda, sono tornati per farci scatenare ancora una volta.

Che il loro intento sia quello di fare capire agli ascoltatori che sono cresciuti e sono riusciti a passare sopra alla scissione del gruppo, è chiaro fin dal primo brano, Fast In My Car, dove cercano disperatamente di prendere le distanze da quella che è stata la loro produzione fino ad ora. Nel caso fosse proprio così e non un mio viaggio: epic fail, devo dire. Il brano nel complesso è piacevolissimo e dal ritmo incalzante ma non fa così tanto la differenza come vorrebbe la band per quanto siano apprezzabili i riferimenti nel testo ad album del passato come Riot, come a voler sottolineare il passo avanti fatto.
Segue l'ormai noto singolo Now, dalle tematiche un po' più mature e dalla chitarre un po' più incazzose, ma dalla ritmica ri-trita e dalla produzione un po' piatta.
Grow Up, eccola alla posizione numero tre a fare da spartiacque: nulla di strepitoso - lineare come solo un brano pop-punk può essere (!) - ma molto piacevole soprattutto perché da qui in poi comincia a risaltare il miglioramento fatto dalla voce di Haley Williams che diventa sempre più brava ogni anno che passa.
Alla numero quattro troviamo una canzone molto "paramoriana"; una Daydreaming ambientata nella Los Angeles in cui la band si è trasferita da qualche tempo a questa parte e da cui ha ricominciato da zero. Molto simbolico, devo dire.
Cominciano le sorprese con Interlude: Moving On... un ukulele?! Ma sono diventata sorda io oppure si tratta veramente di uno strumento totalmente inedito per questa band? Scherzi a parte, questo piccolo intermezzo che poi proseguirà con delle ideoligiche parti II e III (Holiday e I'm Not Angry Anymore), non hanno un senso logico particolare. La loro presenza è giustificata dal fatto che fanno raggiungere all'intero LP quota ben 17 inediti, e spezzano un po' il ritmo generale dell'opera che tra alti e bassi caracolla lentamente verso il finale. Al momento li trovo piacevoli e non fastidiosi o inutili, la loro funzione è puramente di intrattenimento e non hanno la pretesa di essere considerate delle punte di diamante; raccontano la storia di una persona qualunque - uno chiunque di noi - che passa attraverso le varie fasi della vita, descritte in pochi minuti di voce e ukulele.
Con Ain't It Fun si comincia a carburare. Brano grezzo e ancora immaturo ma è già un grande passo avanti rispetto a quello che i Paramore sono stati fino a ieri; giro di basso funky messo ben in evidenza davanti alla chitarra e finale con coro gospel da u-r-l-o. L'unica pecca sono le parti synth che risultano un po' troppo piatte e bidimensionali.
Part II si presenta come la ripresa del vecchio, con rielaborazione in nuovo: una sorta di auto-celebrazione e celebrazione ai fan che potrebbero riconoscere il brano originale solo se assidui ascoltatori (per la cronaca, trattasi della rielaborazione del brano Let The Flame Begin, comparso sul secondo full length della band, "Riot". Non è stato nemmeno un singolo e non ne esiste una versione "lyrics video").
Molto carina invece, Last Hope che trovo anche molto diversa dalle ballad proposte in passato dalla band. L'andamento è molto lineare e melodico, decisamente catchy il ritornello, con chiusura corale che più adatta di così non si poteva. Ottima.
Uscito poco prima dell'LP, abbiamo il singolo Still Into You; anche qui nelle lyrics troviamo riferimenti ai vecchi lavori della band - ditemi che non li vedo solo io - e in sé per sé il brano non è nulla di originale ma la voce della Williams è cristallina e potente e risolleva qualsiasi brano che sia un ciofecata mondiale o meno.
Anklebiters, è proprio punk - sia per ritmo che durata - e caricata a molla per esplodervi nelle cuffie e, ci voleva proprio dopo esserci rilassati con i due brani precedenti. Proof, comincia bene e poi si perde un po' nell'anonimato forse proprio perché sta in coda a un proiettile del calibro di Anklebiters.
Hate To See Your Heart Break è uno di quei pezzi così ruffiani e tutto sviolinate che farebbe piangere anche il fan più accanito di David Guetta. Credo si tratti di uno di quei brani puramente cinematografici, perfetti per essere scelti come parte dell'OST di un qualche film comico-romantico. Ma forse volo troppo di fantasia.
A seguire troviamo una chicca, molto meglio del brano precedente, (One Of Those) Crazy Girls; intro impeccabile, con una sessione ritmica delicata ma perfettamente in tema e intelligente utilizzo di archi e cori che fanno da sfondo perfetto per la storia d'amore messa in scena. Divertentissima.
Be Alone è un altro pezzo veramente "paramoriano", il che non vuole essere una definizione ma solo un dato di fatto... cioè quelle sonorità già presenti a livello embrionale nei precedenti lavori che qui vengono tirate fuori con più decisione e rielaborate nel nuovo gusto musicale della band. Il sound è quello del primissimo "All We Know Is Falling", ma reso più adulto e adattato a un pubblico che può oscillare dai neofiti teenagers ad ascoltatori ora più maturi che seguono la band dagli esordi.
L'album si chiude con il pezzone Future: al primo ascolto è stato subito amore.
Giuro che se il titolo vuole essere foriero della strada che i Paramore vorranno musicalmente percorrere in futuro, ne sono più che felice e li seguirò finché avrò cent'anni. Cattivone, nudo e crudo. Otto minuti di apprezzabile e sporco rock e io sono soddisfatta perché anche se abbiamo fatto un po' di fatica siamo giunti a giusta conclusione di un album sperimentale - a causa di un sound ancora da definire e che non ha trovato una compattezza ideologica il che lo rende frammentario e ancora un po' incoerente - e di passaggio.
Le lyrics nel complesso sono ancora acerbe, i Paramore non hanno ancora raggiunto quella maturità compostiva che permetterebbe loro di fare il passo avanti che tanto agognano.
Sono ancora lì, a metà via tra l'università e il mondo del lavoro, tanto per fare un paragone, ma il futuro fa ben sperare:

"So, just think of the future,
Think of a new life.
And don't get lost in the memories,
Keep your eyes on a new prize."


Future, Paramore.


Hope Valentine.




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