venerdì 29 marzo 2013

La Dama che amò due Principi - Recensione. Gabriella Magrini ci trasporta tra le meraviglie del Giappone medievale



La Dama che amò due Principi -- Gabriella Magrini
Per puro caso, mentre cercavo qualche nuova lettura ambientata in Giappone, salta fuori questo libro non nuovissimo - del 2006 -  dove un'italiana si cimenta nel narrare la storia di una poetessa e dama di corte imperiale che visse realmente intorno all'anno 1000, quando il Giappone era ancora un impero forte e il potere del suo reggente non era messo in discussione da lotte intestine.
Il suo nome fu Izumi Shikibu (non il nome reale ma lo pseudonimo che tutte le dame di corte adottavano, derivato dall'unione del nome della città da cui provenivano con il loro titolo a corte).
La vita di questa donna bellissima e dall'animo profondo e delicato, alla costante ricerca di un'ispirazione per la sua arte e dell'amore - quello disperato e straziante che ti riempie l'anima ma un attimo dopo la svuota - è il mezzo attraverso il quale il lettore viene messo a conoscenza delle vicissitudini di corte e dei complicati riti che ne scandiscono i ritmi quotidiani.
E mentre molti anni dopo quando ormai dama Shikibu è in ritiro monacale, lei comincia a scrivere le sue memorie e piano piano vengono alla luce amori passati e distruttivi, scandali senza precedenti alla corte imperiale. Nel frattempo l'intreccio narrativo si arricchisce di una congiura a palazzo, ai danni del futuro imperatore.

Questo romanzo brevissimo - sono poco più di 250 pagine - è un piccolo gioiello di delicatezza e purezza, caratteristiche derivate dalla stessa protagonista, che si lascia leggere con trasporto e semplicità. E' uno di quei romanzi che consiglierei a chi desidera avvicinarsi a piccoli passi alla cultura orientale e allo stesso tempo, rilassare la mente.
Rispetto a certi altri tomi che ho letto in passato e sto tuttora leggendo (il Genji Monogatari per esempio, o Shogun di James Clavell), questo romanzo è "acqua schietta"; non fraintendetemi però perché non voglio dargli un giudizio troppo negativo. Purtroppo credo che sia un romanzo semplice e lineare sì ma, poco caratterizzato.
La bellezza delle storie ambientate in Giappone è la particolarizzazione degli usi e costumi la spiegazione del perché esistono e le descrizioni della meravigliose case, dei suppellettili delle acconciature e dei kimono (specie se i personaggi principali sono nobili o appartenenti alla corte imperiale).
Qui, ho travato un po' di carenza dal punto di vista descrittivo; magari l'autrice dice quanti strati di kimono dama Shikibu indossa ma non ti fa una descrizione particolareggiata delle sete, dei colori sgargianti dipinti a mano che venivano scelti con cura maniacale dalle dame di corte perché non stonassero sovrapposti uno sopra all'altro. Oppure le acconciature: quelle mancano completamente.
Le dame di corte si facevano crescere i neri capelli serici fino ai piedi (veramente, non è uno scherzo), per simboleggiare la loro risma sociale e lo stile di vita che conducevano - e questo dava adito durante le cerimonie ufficiali, di raccogliere i capelli con ornamenti di ogni genere e in modi e maniere sempre fantasiose. Acconciature che erano così complicate che dovevano mantenerle per giorni pur di non rovinare la tanta fatica fatta durante la loro creazione.
I paesaggi del Giappone inoltre, sono ciò che di più lontano esiste dal mondo dell'uomo occidentale. Non solo quelli racchiusi all'interno delle mura della corte imperiale - un microcosmo in un macrocosmo - ma anche la natura circostante è così affascinante da aver incantato per secoli visitatori gaijin - stranieri - o addirittura ad aver ispirato racconti e poesie degli stessi artisti giapponesi.
Tutto questo manca, lasciando un vuoto incolmabile che nemmeno la narrazione dell'incredibile esperienza umana della protagonista può colmare.
La nostra beniamina non sembra vivere in un mondo a noi del tutto estraneo, ma nella villetta a schiera che da sul giardino, dietro casa mia.
Poi, per carità, le vicissitudini amorose di dama Shikibu, trasportano il lettore dentro la storia piedi e caviglie compresi ma manca quella scintilla che sigilla con il fuoco nella mente una storia che hai amato particolarmente.
Non bastano qualche parola - spiegata in un glossario a fine libro - in lingua per trasportarti completamente in un mondo estraneo.

Voglio però smettere di fare la criticona e mettere in risalto ciò che c'è di positivo in questo libro.
E' scritto molto bene, tanto per cominciare. Non annoia mai, non diventa mai pesante (ma forse proprio perché mancano tutte quelle caratterizzazioni di cui lamentavo poco prima), e scorre come acqua lieve di pagina in pagina. Merito anche della protagonista, la cui sensibilità viene messa in risalto dalla ricerca continua di una ragione di vivere attraverso le passioni e gli amori che costellano la sua esistenza; dai matrimoni combinati alle passioni occasionali poi trasformate in grandi amori.
Quindi non solo i due principi da cui il titolo, ma una serie di amanti nominati o meno che dama Shikibu incontra e di cui ci rende partecipi nell'arco della narrazione.
Ho trovato azzeccatissimi i tanka - poesie brevi in 5 versi - a inizio di ogni capitolo, non solo perché estremamente coerenti con il contenuto ma anche perché sono una forma letteraria/poetica tipicamente giapponese, insieme agli haiku, che esprimono in poche parole la cultura e la filosofia del paese del Sol Levante.

E ora l'ultimo aspetto che voglio brevemente analizzare di questo romanzo, e non saprei se sia una critica o un lode: la protagonista, Izumi Shikibu.
Fantasiosa creazione della Magrini o ipotetica figura che avrebbe avuto una qualche possibilità di esistere nella società medievale Giapponese? Sì e no a mio parere, nel senso che certe pulsioni e certi desideri erano probabilmente insiti in molti ma pochi potevano permettersi di esprimerli, soprattutto quando si trattava di donne.
Le donne non potevano percorrere la via dei guerrieri o meglio conosciuti come samurai, per cui l'unico modo che avevano per preservare l'onore - il loro e quello della famiglia, oltre che dell'eventuale marito - era fare esattamente ciò che ci si aspettava da loro. La libertà di vivere appieno le proprie passioni era prerogativa esclusiva degli uomini che anche se non nascondevano relazioni extraconiugali, non potevano permettersi di disonorare la prima moglie, la più importante, dando maggiori attenzioni, tempo, ricchezze alle amanti occasionali. Le donne, ed esclusivamente le nobili, non erano facilmente perdonate nelle "scappatelle", per cui principalmente si astenevano dall'avere relazioni sconvenienti. Dama Shikibu, invece, per tutta la durata della storia, pare avere sempre pochi scrupoli nelle sue scelte, guidata esclusivamente dalla passione e dall'amore; non era così semplice per nessuna, questo punto va chiarito.
E' per questo che la nostra eroina mi pare un po' troppo indipendente rispetto al contesto in cui è collocata.
Ma la figura che alla fine ne viene fuori, è vincente: nonostante gli errori, le sofferenze, non ha mai chinato il capo e ha sempre vissuto secondo il proprio cuore - da outsider - beniamina positiva dell'esaltazione e dell'accettazione di sé.
E nonostante l'intrigo di corte che da un certo momento in avanti prende piede, l'attenzione del lettore che ogni tanto viene pilotata su personaggi secondari, i nomi esotici dei suoi amanti che si susseguono pagina dopo pagina, Izumi Shikibu è un personaggio che riesce a calamitare l'attenzione del lettore e a permeare ogni rigo della sua delicatezza.
Come acqua che scroscia delicata tra le pagine, appunto.

Hope Valentine.

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