Gabrielle Aplin - English Rain |
voto: *** e 1/2
Prima di cominciare con la recensione, devo fare le mie scuse per l'enormità di tempo impiegato a pubblicare quest'ultima fatica: ero bloccata, lo ammetto.
Ma non per questa recensione in particolare ma, più in generale, per una totale mancanza di favella, nonché per una stanchezza dilagante. In ogni caso, alle buone anime che solitamente leggono queste mie poche sciocchezze, rinnovo le mie scuse.
Ma, ora cominciamo...
C'è chi la scambierebbe per una neo-Taylor Swift. Niente di più sbagliato.
A Swifty, questa Gabrielle Aplin, da il giro almeno di quattro o cinque volte.
Ero scettica anche io all'inizio, lo ammetto, ma sono rimasta affascinata sin dal primo ascolto.
L'album in questione, scorre che è un piacere, e alla fine dell'LP mi sono ritrovata emozionata quanto basta per dirmi soddisfatta.
Gabrielle qui si cimenta con il suo primo LP completo, dopo una serie di EP pubblicati sporadicamente e abbastanza trascurabili, ad esclusione della magnifica cover "The Power Of Love" . Giovanissima, classe '92, nata e cresciuta in un paesino sperduto della campagna inglese (su Wikipedia non si trovano più di tre righe sulla sua autobiografia), pareva impossibile che potesse maturare tanto talento e invece, eccola qui.
Con un repertorio di brani piuttosto lungo per un'opera prima, la Aplin si cimenta come una giovane Joni Mitchell tra problemi di cuore, esistenziali e sentimentali più in generale.
L'album si apre con "Panic Cord", una ballata baldanzosa - da scusare il gioco di parole scemo - che è un bel biglietto da visita per la nostra. Un mix ingegnoso tra la più datata Dolly Parton e i recentissimi Of Monsters And Men.
"Keep on Walking", si conferma nuovamente come una bella rilettura di quelle che sono le sonorità neo-folk di band come i già citati Of Monsters And Men o come i The Lumineers, con quelle percussioni insistenti in sottofondo e i cori a più voci a colorare le strofe.
"Please Don't Say You Love Me" e "How do You Feel Today", non sono particolarmente brillanti e forse i brani più "infantili" dell'album, ovvero quelli che mostrano meglio la vera età di Gabrielle per contenuti poco originali e dinamiche melodiche poco complesse. Nel complesso però, risultano piacevoli e cosa non trascurabile, estremamente in linea con il resto del lavoro.
Segue "Home", che è entrata immediatamente tra i miei ascolti obbligatori giornalieri: qui la Aplin si cimenta con il concetto universale di "casa", intesa come il luogo dove fare sempre ritorno e sentirsi al sicuro. Parte in sordina, ma poi - con i sempre ben accetti cori che rinforzano la voce principale nei ritornelli - esplode sul finale, con percussioni in primo piano che abbracciano la voce eterea di Gabrielle. La stessa struttura caratterizza la canzone seguente, la più intimista e personale "Salvation". Mi piacerebbe proprio sapere chi o cosa ha ispirato una canzone tanto bella, perché quel "you are the avalanche" che apre le lyrics è proprio da pugno nello stomaco, come tutto il brano, del resto. Pochi accordi al pianoforte e la voce della Aplin amplificata che vanno ad intrecciarsi agli archi a metà brano e il boom finale, che strizza l'occhio ai tipici brani da soundtrack ad effetto. Sono tramortita, colpita e affondo.
Risalgo in superficie e torno a respirare con la dolce e folk "Ready to Question", per poi venire ributtata nelle acque più profonde ed emozionali da "The Power of Love"; delicata all'inverosimile e impossibile da associare nell'interpretazione a una ragazza tanto giovane.
"Alive", ha una magnifica introduzione e un ritmo incalzante fin dall'inizio ma ecco che si distende e si dilata nei chorus pur mantenendo costante la tensione che emerge dal testo; "No, is never your fault".
Con "Human" però si conclude il ciclo di brani memorabili dell'album che termina scemando e perdendo forza, prima con "November", che per carità non è malvagia ma è tanto al sapor di scuole medie, passando poi per "Start of Time" - di cui però apprezzo la costruzione di accordi che fanno da sottofondo per tutto il pezzo - e concludendosi con la bonus track, "Take Me Away".
In conclusione, nonostante gli scivoloni qua e là, si tratta di un'opera prima ottima e pregiata, molto curata in fase di produzione soprattutto se consideriamo l'età della sua autrice.
Apprezzo la schiettezza che Gabrielle mette nei suoi brani, creando picchi emozionali di intensità quasi insostenibili, abbinando il tutto a brani piacevoli, adatti a tenere compagnia durante viaggi lunghi.
Una voce giovane e delicata, mai fuori dalle righe - sempre composta e poco costruita - che sposa pienamente il genere che Gabrielle ha scelto di suonare: un bel mash-up tra folk contemporaneo, coutry e cantautorato.
Nella speranza che Gabrielle possa solo migliorare con il passare degli anni, un po' come il buon vino, per il momento va promossa con ottimi voti.
Hope Valentine.
Nessun commento:
Posta un commento